A Bratislava ci siamo arrivati con calma, risalendo la Mitteleuropa da Trieste, via Lubiana, Graz e Vienna e usando solo treni e pullman. Solo al ritorno io e mia moglie ci siamo concessi un volo RyanAir per Roma. A Graz volevo assolutamente vedere l’arsenale storico cittadino, mentre Bratislava non la conoscevo. C’ero in realtà passato davanti nel 1980 con una gita in battello da Vienna, ma all’epoca non potevamo scendere senza il visto e per metà percorso una motovedetta cecoslovacca ci scortava a vista. Ricordo però la sagoma del castello, oggi perfettamente restaurato ma vuoto. Sì, vuoto, a parte cinque quadri (sic) e un paio di mostre. Purtroppo la Slovacchia non ha sempre avuto una corte o una monarchia autonome e per secoli è stata solo un satellite dei vicini. La stessa Bratislava ha più nomi: Pressburg per gli Austriaci, Poszòny per gli Ungheresi. E qui il vantaggio dell’Europa di oggi: puoi andare dove ti pare senza che nessuno ti chieda i documenti; che hai sconfinato te lo dice solo un sms di Vodafone. Nelle varie gite, mi sono accorto solo dalla mappa di quanto fosse vicina la frontiera ora ungherese, ora austriaca, ora cèca e morava, frontiere che seguono le sponde del Danubio, oppure sono il retaggio di due guerre mondiali.
Della Slovacchia ho visto solo la capitale, ma ci ha sorpreso lo sviluppo industriale e commerciale della città, con un centro storico perfettamente restaurato, grandi centri commerciali, quartieri nuovi e grattacieli sede delle multinazionali. I trasporti pubblici sono efficienti e i mezzi sono tutti nuovi, mentre dei tassisti è meglio non fidarsi troppo. La Slovacchia uno sviluppo industriale lo aveva già avuto grazie ai Sovietici: socialista è metà dell’architettura pianificata dei nuovi quartieri. Ma negli ultimi anni gli investimenti stranieri (soprattutto tedeschi, ma non solo) e un regime fiscale favorevole ne hanno fatto una sorta di Austria Felix. Da un’amica abbiamo anche saputo che per le professioni c’è molto lavoro disponibile anche per gli stranieri, e in fondo lì si vive bene, tutto pulito e organizzato. Peccato che la lingua slovacca non sia poi così facile, vista anche la sua scarsità di vocali. Ma mentre in quella settimana di vacanza io cercavo di imparare qualche parola di slovacco e di pronunciarla in modo decente, mia moglie si ostinava a parlare una specie di inglese con gente che parlava una specie di inglese, col risultato di non pochi malintesi, visto che non sempre il personale di servizio e le commesse sono gentili. Residuo del socialismo oppure lavoratori inurbati dalla campagna? Forse tutt’e due.
Il nostro albergo è delizioso: un vecchio battello da crociera ancorato sul Danubio, con comode cabine e sala da pranzo in stile Titanic. Il nostro sonno è cullato dalle onde del fiume, ma più spesso dallo spostamento d’acqua causato da navi da crociera lunghe quanto l’astronave di Guerre stellari e da chiattoni con la capacità di venti Tir. La sponda destra è tutta verde a parco pubblico, quella dove siamo ancorati dà sulla collina del castello, e sul lungofiume devi solo star molto attento ai ciclisti, molto bravi a pedalare a luci spente. La città in fondo è tutta piatta, quindi le due ruote sono non solo popolari, ma attirano il cicloturismo internazionale. Da Vienna a Budapest è tutta una pista ciclabile e Bratislava sta in mezzo. Io invece sognavo di scendere il Danubio in canoa, e so che ogni tanto i circoli sportivi internazionali organizzano queste imprese collettive. Siamo comunque andati a Vienna in battello e sempre in battello il sabato e la domenica di può raggiungere un’isola dove è allestita Danubiana, una mostra permanente di arte contemporanea che da sola merita un articolo a parte.
Prima dicevo che la città vecchia – Stare mesto – è stata perfettamente restaurata. Come fosse prima s’indovina da alcuni edifici cadenti che attendono l’immobiliare di turno. Oggi è la Disneyland perfetta: nessun abitante, tutto pulito e colorato, solo B&B, alberghi e case vacanze, nessun negozio che non sia funzionale al turismo, ristoranti e birrerie di ogni tipo, più saloni massaggi Thai e locali di strip-tease aperti h24. In compenso c’è molto ordine (mai visto un abusivo), molti negozi sono di qualità – tutte firme internazionali – e l’area è realmente pedonalizzata, senza italiche deroghe alla legge. Tutta la città vecchia è contenuta in due km quadrati, è piena di chiese barocche e conserva ancora parte delle mura. Tutto sommato è una piacevole passeggiata, a patto di non fare troppo caso alle masse di turisti scesi dai pulmann o dai battelli fluviali, e avendo cura di mangiare da un’altra parte: i prezzi sono come Roma se non più alti.
Oggi abbiamo mangiato lungo il Danubio, al ristorante dello scalo passeggeri, un edificio che sia dentro che fuori è un capolavoro di architettura socialista: razionale, elegante come si concepiva negli anni Sessanta. Fuori cemento armato, dentro tutto legno e ferro. Ci fanno accomodare in terrazza: le sale interne sono prenotate da due gruppi provenienti da Vienna o Budapest. Tavoli con salviette gialle, italiani; salviette celesti, forse tedeschi. Dico forse perché qui nazioni e dialetti s’incrociano quasi sfumando, e il tedesco che parlano non è quello che s’insegna a scuola. Gli italiani del primo gruppo si rivelano torinesi e con loro scambiamo racconti e informazioni. Gli altri giorni avevamo conosciuto una studentessa romana che lavora in un campo archeologico del FAI e una matura coppia di viaggiatori “lenti”, tutto il contrario dei tour che caricano e scaricano in continuazione turisti di ogni tipo. Purtroppo invece non abbiamo potuto incontrare la nipote di un mio amico che qui studia slovacco e certo troverà qui un buon lavoro. Il suo programma è per ora molto intensivo.
Ieri sera abbiamo mangiato a bordo della nostra nave-albergo, due giorni fa in un piccolo ristorante fuori le mura, per scoprire oggi che la sera lì vendono solo da bere. Già, qui molti ristoranti chiudono la cucina dopo il pranzo, la sera la gente beve birra. La bevono sia gli slovacchi, sia gli stranieri che affollano i tavoli all’aperto dei locali. La cucina locale è tutto sommato semplice: zuppe, molta carne (manzo, maiale, anatra, pollo), ottimi contorni. Ma non mancano ovviamente ristoranti di ogni nazione, e noi italiani siamo ben messi. Anche il caffè espresso è diffuso come tale, e preferivamo prenderlo da un ambulante che aveva attrezzato a caffetteria italiana un furgone Ape.
La messa nella cattedrale di San Martino merita due righe a parte. La chiesa è gotica con qualche aggiunta barocca nell’interno, che non copre complesse scene lignee di scuola tedesca. San Martino è rappresentato in divisa da ussaro in una grande statua nella navata destra e un grande organo accompagnava la messa della domenica. Quando c’è funzione i turisti non possono entrare e la liturgia qui è presa molto seriamente sia dal clero che dai fedeli. La Slovacchia è l’unico paese europeo che non accetta migranti musulmani, e durante la guerra la Slovacchia era un protettorato tedesco governato da un ecclesiastico, monsignor Tiso, figura ambigua ma significativa del sentimento popolare. Passato il socialismo, l’anima slovacca si è ritrovata cattolica, anche se qui in città il rapido sviluppo sicuramente porterà cambiamenti profondi. Qui i giovani sono tanti, c’è lavoro e il pil quest’anno è al 4%. Ed è anche una bella gioventù: sportiva se non atletica (anche qui il socialismo aveva lavorato bene); le donne sono molto belle ed eleganti e ovunque c’è gente che pedala o fa jogging.
L’ultimo giorno, dopo una passeggiata nel parco del lungo Danubio, saliamo a vedere il panorama dall’UFO. E’ un cugino più svettante e moderno del Fungo all’EUR, che si erge sopra il ponte nuovo, meraviglia ingegneristica tutto cemento armato e stralli, senza neanche un pilone. Da 100 metri di altezza vediamo tutta la città e il Danubio da una parte, e i quartieri nuovi o addirittura in costruzione dall’altra. E’ un finale di viaggio quasi obbligato, ma dall’alto ti rendi realmente conto della natura della città.
Articolo di Marco Pasquali
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