La Slovacchia dei miti e delle favole – cenni storici sulla letteratura slovacca

Se vogliamo definire l’orizzonte storico della letteratura slovacca, dobbiamo tenere conto di due dati specifici: il fatto che per secoli il popolo slovacco non ha avuto un proprio stato e che per la cosiddetta “letteratura alta” ha utilizzato la lingua di altre nazioni, dal latino all’ungherese e al ceco. Queste condizioni storiche sono persistite fino alla metà dell’Ottocento. La prima codificazione della lingua slovacca scritta è avvenuta solo nel 1843, ad opera del linguista slovacco Ľudovít Štúr. Fino alla fine del Settecento l’attività letteraria degli Slovacchi, oltre che in latino, si era svolta essenzialmente in lingua ceca, e il concetto stesso di letteratura slovacca era difficilmente definibile. Ancora oggi vi sono scrittori, opere, fatti della letteratura che sono considerati come propri sia dalla letteratura ceca che dalla letteratura slovacca.

Anche le origini della letteratura sono comuni. Esse risalgono all’epoca della Grande Moravia e all’arrivo nel paese, nell’anno 863, dei fratelli Cirillo e Metodio, invitati dal principe Rastislav. Cirillo e Metodio utilizzano il dialetto macedone dei dintorni di Salonicco per creare la base della lingua scritta della Grande Moravia. Ne definiscono la struttura fonetica ed elaborano i primi segni grafici per fissarne la forma scritta. Questa lingua, modificata ed arricchita da parole e forme dialettali usate nel territorio della Grande Moravia, ha costituito la forma morava dello slavo antico. In essa sono stati scritti i primi testi religiosi che oggi rappresentano la più antica testimonianza della storia letteraria di questa regione, le origini comuni da cui discendono la letteratura slovacca, la letteratura ceca e in parte, secondo alcuni storici, anche la letteratura bulgara. In essa sono stati tradotti i Vangeli, gli Atti degli Apostoli, il Vecchio Testamento, i testi liturgici della messa, le preghiere ecc.. In questo periodo di integrazione statale e culturale della Slovacchia nello Stato ungherese troviamo molte tracce della cultura dell’occidente cristiano, ma poche opere originali. Alla metà dell’XI secolo compaiono le prime leggende di santi: la leggenda di Mauro, la leggenda di san Svorado e la leggenda di San Benedetto.

Per la formazione di una letteratura slovacca è stato determinante lo sviluppo della borghesia slovacca nelle città, che è andato di pari passo con l’uso della lingua slovacca. Nel 1381, con il Privilegium pro Slavis venne data agli abitanti slovacchi della città di Žilina la possibilità di utilizzare lo slovacco per usi amministrativi. Nel 1467 il re ungherese Mattia approvò la fondazione a Bratislava di un’università, denominata Accademia Istropolitana, con quattro facoltà: arte, teologia, giurisprudenza e medicina. L’Accademia si ispirava al modello dell´Università di Bologna, di cui adottò anche gli statuti.

Periodo importante per lo sviluppo della letteratura slovacca furono gli anni ottanta del Settecento e gli anni quaranta dell´Ottocento, quando la letteratura slovacca entrò in una nuova fase di sviluppo. Grazie alle riforme di Maria Teresa e di suo figlio Giuseppe II si respirava un´atmosfera più libera che favorì lo sviluppo della vita culturale slovacca. Nel luglio 1783 uscì il primo giornale in lingua slovacca, Prešpurské noviny (Il Giornale di Posovia). Su questo giornale fu annunciata la pubblicazione del primo romanzo scritto in slovacco: Le Avventure del giovane René, di Ignazio Bajza.

Nella prima metà del XIX secolo diventò centrale la questione della codificazione della lingua scritta. Per iniziativa di un linguista, Ľudovít Štúr, nel 1843 venne riconosciuta come lingua scritta ufficiale il dialetto della Slovacchia centrale, tuttora considerata la lingua ufficiale del paese. Questa codificazione suscitò vive discussioni fra l’intellighenzia slovacca, una parte della quale era invece favorevole all’utilizzazione del ceco.

Il romanticismo tedesco aveva avuto ampia diffusione in Slovacchia e i poeti del movimento che faceva capo a Štúr si ispirarono alla poesia popolare, ai suoi motivi e alle sue figure poetiche. Molti di questi poeti si dedicarono alla raccolta di favole e canti popolari. La più importante raccolta di favole popolari è quella realizzata dallo scrittore Pavol Dobšinský, tradotta anche in italiano con il titolo Il re del tempo (pubblicata dalla casa editrice Sellerio).

Nel primo decennio del secolo scorso il declino della Monarchia austro-ungarica non impedì a Vienna di essere uno dei massimi poli culturali europei. Da Vienna, Budapest e Praga i fermenti e gli stimoli della cultura europea arrivavano anche in Slovacchia, in cui sorse il movimento chiamato „La Modernità poetica slovacca“, di cui uno dei primi esponenti fu il poeta Ivan Krasko con le sue raccolte di versi Nox et solitudine, Versi.

Nella narrativa fiorì il realismo critico che descriveva la vita della popolazione più povera. La scrittrice Božena Slančíková-Timrava con il personaggio di Ťapák creò il tipo del contadino slovacco, simile per certi aspetti all’Oblomov della letteratura russa, incapace di ridestarsi da una secolare abulia e di vivere una vita attiva.

Lo sviluppo della letteratura slovacca in parallelo con l’evoluzione della letteratura occidentale continuò fino agli anni Trenta. Come riflesso del surrealismo si sviluppò in Slovacchia il naturismo, il cosiddetto movimento della „narrativa lirica“. Fra gli scrittori di questa corrente vanno ricordati Ľudo Ondrejov, Dobroslav Chrobák e la scrittrice Margita Figuli, il cui capolavoro, I tre cavalli di castagna, è stato tradotto anche in italiano. Dopo la seconda guerra mondiale i contatti con la letteratura e la filosofia occidentali si interruppero. Molti scrittori slovacchi si trasferirono all´estero. L’esponente più importante dell’emigrazione intellettuale slovacca è stato Jozef Cíger Hronský (1896-1960), autore del romanzo Jozef Mak. Hronský è vissuto anche a Roma, e durante il suo soggiorno romano ha scritto il racconto Il venditore di talismani, ambientato nella città eterna.

Dagli anni Cinquanta il regime totalitario ha cercato in tutti i modi di trapiantare nel mondo slovacco „il realismo socialista“, importato dall´Unione sovietica. Per quarant’anni critici, studiosi e scrittori si sono affannati a trovare la definizione giusta di questo stile e ad adattare le proprie opere alle sue regole più o meno vaghe. I temi centrali erano la vita del popolo oppresso e l’eroismo e le conquiste della classe operaia che ha abbracciato il comunismo. Dopo il 1968 c’è stata una seconda ondata di emigrati, fra i quali Ladislav Mňačko, l´autore del libro Come piace il potere, proibito in Slovacchia, in cui si racconta la storia di un funzionario del regime, all´inizio onesto e in buona fede e alla fine completamente corrotto e moralmente distrutto.

Il più importante scrittore slovacco del dissenso politico, espulso dal mondo della letteratura ufficiale nel periodo della cosidetta „normalizzazione“, è stato Dominik Tatarka, l´autore di Discorsi senza fine (1959), Demone del consenso (1956) e Le poltrone di paglia (1963), dal 1970 vissuto sotto lo stretto controllo della polizia segreta.

Negli anni Settanta ha fatto il suo ingresso nel mondo della letteratura una nuova generazione di scrittori d´ispirazione più intellettualistica. Nella poesia Milan Rúfus e Miroslav Válek hanno portato lo spirito nuovo di una lirica più intima, che si contrappone all´eroismo convenzionale degli operai celebrati dal realismo socialista. La scelta di temi legati alla vita personale era un modo tacito di esprimere il proprio dissenso nei riguardi dell’estetica ufficiale, imposta dal regime. Rientra in questa estetica del dissenso anche l´interesse degli scrittori per la letteratura per l´infanzia. Il bambino non è più oggetto, ma soggetto della narrazione. Gli autori cominciano a guardare con gli occhi dell´infanzia non solo il mondo infantile, ma il mondo in generale e l’elemento del gioco si fa principio creativo. Dopo la prima generazione degli anni Sessanta sono emersi altri talenti, tra i quali ricordiamo Tomáš Janovic , Jana Šrámková (1942), Peter Glocko (1946), Dušan Dušek (1946), Štefan Moravčík (1943), Daniel Hevier (1955), Ján Uličiansky (1955), autori che attraverso il loro interesse per il mondo dell’infanzia hanno saputo ricollegarsi alla più autentica tradizione slovacca, da sempre aperta alla dimensione mitica e fantastica.

(Dagmar Sabolová-Princic)

Per concessione dell’autore – dal n. 27 della rivista Inter@alia

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